Eolico e impatto paesaggistico, la soluzione per le isole è il palo telescopico?
Stato dell’arte del progetto italiano P.E.R.IM.A. che sta sviluppando un sistema “a scomparsa” per abbassare gli aerogeneratori quando non c’è vento. Una tecnologia forse adatta in specifici contesti?
Una critica ricorrente agli impianti eolici è il loro impatto visivo e di alterazione del paesaggio.
Una linea di ricerca e di sviluppo industriale, almeno per le macchine di piccola e media potenza, per ovviare in parte a questo aspetto riguarda la realizzazione di turbine che siano meno visibili, soprattutto in aree sensibili dal punto di vista paesaggistico, come le isole minori.
Soluzioni per sfruttare l’energia del vento in maniera più “discreta” vengono studiate da qualche tempo. Si pensi al prototipo presentato lo scorso novembre da Airloom Energy, una startup americana finanziata da Breakthrough Energy Ventures, il gruppo di investimento in capo a Bill Gates a sostegno delle tecnologie energetiche di nuova generazione.
In questo caso l’impianto impiega un binario ovale sospeso da terra grazie ad alcuni pali alti circa 20 metri, lungo il quale scorre un cavo a cui sono state fissate una serie di pale da 10 metri. Quando il vento le colpisce queste ne catturano l’energia iniziando a ruotare lungo la pista.
Il prototipo italiano
Anche in Italia si lavora ad alcune soluzioni alternative. L’Università di Palermo, grazie a fondi provenienti dalla Regione Sicilia, è partner di un progetto per la realizzazione di aerogeneratori sorretti da pali telescopici che possano essere alzati o abbassati facilmente e con notevole frequenza. Si tratta del progetto P.E.R.IM.A. (Produzione eolica a ridotto impatto ambientale), sviluppato insieme a Elettrocostruzioni, Iemest, Ved e Tecnozinco.
Ne esiste già un prototipo, alto 30 metri, in un’area di proprietà di Elettrocostruzioni a Caltanissetta (immagine di copertina). Il palo scompare interamente all’interno di un pozzo di fondazione nel momento in cui si decide di abbassarlo, lasciando scoperta soltanto la navicella, come mostra la foto in basso.
I pozzi sotterranei sono in realtà due: uno di dieci metri che alloggia i tre tronconi telescopici (lunghi appunto 10m l’uno), e un altro più piccolo che alloggia il pistone, un’anima interna che spinge il troncone più piccolo che poi, a sua volta, trascina gli altri grazie a dei manicotti di connessione a superficie inclinata.
Tra i vantaggi di questa soluzione individuati da Tullio Tucciarelli, responsabile scientifico del progetto P.E.R.IM.A. e professore ordinario di idraulica presso l’Università di Palermo, c’è anche quello di migliorare la percezione delle persone verso la tecnologia eolica, che spesso viene poco accettata dai residenti.
“Portare l’aerogeneratore a livello del suolo lo rende visibile da vicino e potrebbe far cambiare idea a chi lo demonizza. Qualcuno potrebbe addirittura apprezzare l’opera”, spiega parlando con QualEnergia.it. Inoltre, aggiunge, “vedere ferme le turbine è motivo di imbarazzo, è una modifica del paesaggio gratuita”.
Per cui si è ipotizzato di poterle “ritrarre” quando il vento non è sufficientemente veloce da essere sfruttato. Abbassare la navicella consentirebbe anche interventi di manutenzione più agevoli. “Un conto è lavorare a 30-50 metri, un altro è farlo a terra”. La possibilità di ritrarre il palo potrebbe anche rivelarsi utile in caso di eventi estremi che rischierebbero di danneggiare gli impianti. E la sezionabilità rende più semplice il trasporto delle componenti per l’assemblaggio.
Le novità nel progetto
Attualmente il sistema telescopico funziona con una struttura “jackup” simile a quelle delle trivelle utilizzate per le esplorazioni petrolifere, che impiega 5 minuti a far raggiungere al palo la sua massima altezza di lavoro (due video che mostrano il sollevamento del palo possono essere visionati qui e qui).
Il meccanismo funziona attingendo elettricità dalla rete, ma in quantità “marginale” rispetto alla produzione dell’aerogeneratore. Dopo diverse sollecitazioni, però, il sistema aveva smesso di funzionare.
Così nell’ambito della sperimentazione per P.E.R.IM.A. 2, iniziata lo scorso anno, “sono allo studio tre nuovi meccanismi”, ci spiega Antonio Pantano, responsabile della progettazione meccanica e professore ordinario di meccanica UniPa.
Questi sono di tre tipi.
- Idraulico, in cui viene abbandonato l’uso del jack-up per il sollevamento del puntone. Il pozzo di piccolo diametro viene sigillato sul fondo e riempito d’acqua insieme al puntone. Viene collocata alla base del puntone una pompa che aspira il liquido dall’interno del puntone stesso e la pompa nella camera di espansione contenuta tra la camicia del pozzo, la pompa e il fondo del pozzo stesso. Il puntone viene forato nella parte immediatamente superiore dell’elemento di separazione per consentire il successivo rientro dell’acqua nella fase di discesa.
- A carrucola, in cui si rinuncia a trivellare il pozzo di piccolo diametro e all’uso del puntone. Il sollevamento della struttura viene invece affidato ad un sistema di cavi e carrucole che avvicina la sezione inferiore del tratto interno di torre alla sezione superiore del tratto esterno successivo.
- A traliccio, in cui si sostituisce la struttura telescopica con una struttura formata da elementi di piccola altezza, composti a loro volta da elementi lineari snodabili mediante cerniera in due parti uguali poste, in posizione di palo ribassato, l’una adiacente all’altra. Un attuatore, posto alla base del traliccio, sollevando la parte superiore della struttura consente la rotazione delle cerniere e pone le due parti di ogni elemento in sequenza lungo lo stesso asse, sollevando contemporaneamente la parte già estesa del traliccio con l’aerogeneratore in testa.
Il progetto non è ancora stato sottoposto al vaglio di alcuna Soprintendenza, perché si attende di svilupparlo più nel dettaglio. “Una spinta potrebbe arrivare da qualche incentivo alla costruzione, che ad oggi non c’è”, insiste Tucciarelli.
La questione dei costi non è affatto da sottovalutare. Il primo progetto aveva costi di realizzazione troppo elevati, a causa anche del pozzo da costruire, ma ora si punta ad abbassarli notevolmente, ci ha detto Pantano.
L’aspetto economico dipende naturalmente anche dalla potenza dell’aerogeneratore. Attualmente e navicelle del progetto sono bi-pala, per una potenza da 60 a 250 kW.
Il precedente spagnolo
Un esempio di turbina telescopica in Europa esiste già: nel 2018 la Spagna ha installato un aerogeneratore a torre estendibile presso la piattaforma oceanica delle isole Canarie “Plocan”, un laboratorio galleggiante per lo sviluppo di tecnologie marine avanzate, situato sulla costa orientale di Gran Canaria.
Il sistema è stato sviluppato nell’ambito del progetto ELICAN, un’iniziativa di ricerca, finanziata con quasi 11,2 milioni di euro dal programma Horizon 2020, che mirava a dimostrare la convenienza economica di questa tecnologia.
Il risparmio sarebbe nell’assemblaggio, che può avvenire sulla terraferma. Le fondamenta possono temporaneamente agire come una chiatta galleggiante sulla quale il sistema completo può essere pre-assemblato già a terra, evitando l’impiego di navi e gru in mare aperto.
Credits articolo: Massimiliano Cassano per Qualenergia.it – Visualizza articolo